CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. -
La rete strutturale e organizzativa delle mafie. Capacità relazionale e
ricerca del consenso. Capacità organizzativa e costruzione
culturale-ideologica. Capacità imprenditoriale e uso della violenza.
L’aspetto normativo. I patrimoni delle mafie e la gestione dei beni
sequestrati. Commissioni per lo studio di nuove norme. Bibliografia
In
Italia la c. o. indica qualcosa di molto più complesso di un semplice
gruppo di criminali che si associano per trarre profitto dalla
commissione di reati. Essa presuppone l’esistenza di una struttura
gerarchicamente organizzata in grado di perpetuarsi e rigenerarsi grazie
alla coesione di legami interni e alla forza di relazioni esterne. Le
organizzazioni criminali che in Italia più di tutte sono riuscite a
trasformare la forza fisica in forza sociale e la violenza individuale
in violenza relazionale sono Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta. Delle
tre quella più potente è la ’ndrangheta, quella più antica è la camorra e
quella più conosciuta nel mondo è Cosa nostra. Definite anche
associazioni mafiose, gestiscono attività illecite che vanno dal
traffico di droga al riciclaggio di denaro, dall’estorsione all’usura,
dal gioco d’azzardo alle truffe, spesso e sempre più massicciamente con
l’impiego di nuove tecnologie.
Hanno subito condanne per
associazione mafiosa anche organizzazioni criminali come la Sacra corona
unita in Puglia, la mafia dei basilischi in Basilicata e la mafia del
Brenta in Veneto (fig. 1).
Molte
delle mafie presenti in Italia hanno collegamenti internazionali. La
’ndrangheta, per es., ha contatti con i cartelli della cocaina in
America Latina e con organizzazioni criminali serbo-montenegrine in
Europa. Cosa nostra siciliana è collegata all’omologa organizzazione
criminale statunitense, mentre la camorra vanta forti legami con le
Triadi cinesi soprattutto nella gestione dei marchi contraffatti.
La rete strutturale e organizzativa delle mafie. – Capacità relazionale e ricerca del consenso.
– Le associazioni mafiose non sono fenomeni estranei al contesto
sociale, né tantomeno marginali o patologici. Piuttosto, come descrive
efficacemente la Corte di cassazione, «sono tali perché hanno relazioni
con la società civile» (sentenza 29 apr. 2014 nr. 17894). La cronaca
degli ultimi 150 anni racconta di parlamentari costretti a dimettersi,
di consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose, di magistrati
finiti in galera, di uomini delle forze dell’ordine condannati per aver
favorito i clan e di bancari coinvolti in inchieste sul riciclaccio di
denaro (tabella). Si tratta di un patrimonio di ‘nessi’ da sempre
funzionale al controllo del territorio e alle logiche di potere, senza
il quale le associazioni mafiose morirebbero soffocate. Sono proprio le
relazioni esterne, infatti, a costituire «uno dei fattori che rendono
forti le associazioni e che spiegano perché lo Stato non sia ancora
riuscito a sconfiggerle» (sentenza 29 apr. 2014 nr. 17894).
La
ricerca del consenso è una condizione imprescindibile per ottenere
riconoscimento e legittimazione sociale. Le associazioni mafiose non
costituiscono il prodotto di una mentalità e di un territorio, ma sono
piuttosto il risultato di relazioni e collusioni che possono provare a
stringere anche lontano dai territori di origine. Fare economia con la
violenza è oggi un dato di fatto sia al Nord sia al Sud. Il rapporto
delle associazioni mafiose con il territorio si struttura, in
particolare, in termini di ricerca del consenso. «Del resto, ciò che
distingue la criminalità comune dalla criminalità mafiosa è la capacità
di quest’ultima di fare sistema, di creare un medesimo blocco sociale
con esponenti della classe dirigente locale, di creare rapporti tra le
classi sociali, di costruire rapporti di reciproca convenienza.
Distribuzione organizzazioni criminali
Si
tratta di legami strumentali, poco stabili, privi di contenuto
affettivo (a differenza dei legami che si instaurano tra gli
appartenenti all’associazione), ma che creano obbligazioni reciproche
estremamente vincolanti» (Tribunale di Milano, Ufficio del giudice per
le indagini preliminari, Ordinanza di applicazione della custodia
cautelare in carcere emessa dal gip Simone Luerti nell’operazione
denominata Insubria, 14 nov. 2014, p. 65).
Capacità organizzativa e costruzione culturale-ideologica.
– Le associazioni mafiose sono dotate di una struttura stabile,
duratura e capace di indicare compiti e gerarchie. La struttura può
essere: a sviluppo verticale, come nel caso di Cosa nostra, cioè di tipo
militare con al vertice un capo dei capi cui spetta l’ultima parola su
tutto; oppure a sviluppo orizzontale, come nel caso della ’ndrangheta,
cioè di tipo unitario-federalistico, con clan egemoni sul proprio
territorio coordinati da un organismo di raccordo che ha il compito di
garantire l’applicazione delle regole e le modalità di affiliazione,
oltre che di stabilire strategie criminali comuni.
Le
associazioni mafiose dispongono di codici, miti, riti, simboli e
linguaggi, anche non verbali, come i tatuaggi. Grazie a questa complessa
costruzione culturale e ideologica i mafiosi legittimano la violenza,
convinti di essere uomini di onore, cioè gente in grado di aggiustare le
cose, di mantenere l’ordine e di far garantire i diritti e la
giustizia, piuttosto che delinquenti adusi a ogni efferatezza.
Capacità imprenditoriale e uso della violenza.
– Quasi tutte le associazioni mafiose sono ormai strutturate su modelli
riconducibili a quelli dell’impresa. La dimensione economica non
garantisce soltanto l’accumulo di ricchezze, ma rafforza ed espande
l’organizzazione criminale attraverso l’acquisizione di posizioni sempre
più dominanti in seno al tessuto economico. Le associazioni mafiose
operano come vere e proprie imprese illecite, producendo effetti
dirompenti sull’economia legale, sulle regole del mercato,
sull’iniziativa economica privata.
La
violenza è il capitale iniziale, la risorsa primaria che consente di
eliminare ogni forma di competizione. Ottenuto il controllo del
territorio, è possibile fare a meno della violenza, utilizzando metodi
persuasivi basati su scambi di favori, come nel caso di appalti pubblici
in cambio di voti. La corruzione è una delle caratteristiche
fondamentali delle associazioni mafiose, tanto da ritenere che possa
esistere corruzione senza mafie, ma che non sia dato di pensare alle
mafie senza corruzione. Come ha rilevato la Corte di cassazione, a causa
della fama acquistatasi con atti di violenza o di minaccia a danno di
chiunque ne ostacolasse l’attività, le associazioni mafiose «sono ormai
in grado di incutere timore per la loro stessa esistenza, generando in
coloro con cui vengono in contatto una condizione di assoggettamento,
cioè di sottomissione incondizionata, e un conseguente atteggiamento di
omertà, cioè di reticenza e di rifiuto di collaborare con gli organi
inquirenti, dettato dalla esperienza di ritorsioni e rappresaglie in
danno dei trasgressori della regola del silenzio» (sentenza 5 maggio
2013 nr. 951).
Gli attentati del 1992 hanno dimostrato la
potenzialità eversiva di alcune associazioni mafiose, in particolare
Cosa nostra, tanto da costituire una minaccia per la sicurezza dello
Stato e l’ordinamento democratico costituzionale. In Italia ai Servizi
di intelligence è stato affidato il compito di estendere
l’attività informativa anche nei confronti del crimine organizzato: un
lavoro importante per contrastare tanto la criminalità mafiosa quanto
quella terroristica, che trovano nel traffico di droga un punto di
intersezione.
L’aspetto normativo. – La l. 13 sett. 1982
nr. 646, varata subito dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla
Chiesa, ha introdotto l’art. 416 bis del codice penale che
identifica una forma specifica di associazione per delinquere, quella di
stampo mafioso. La norma consente di colpire tutte le associazioni che
si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e
della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per
commettere delitti, per «acquisire, in modo diretto o indiretto, la
gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici», al fine di
«realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri», e per
influire sulle competizioni elettorali. A seguito dell’entrata in vigore
della l. 5 dic. 2005 nr. 251 (cd. legge ex Cirielli) e del d. legisl.
23 maggio 2008 nr. 92, convertito nella l. 24 luglio 2008 nr. 125,
l’art. 416 bis ha subito un inasprimento del regime
sanzionatorio a esso applicabile. Gli incrementi di pena trovavano
giustificazione nell’esigenza di non vedere diminuiti i termini di
prescrizione allora applicati, secondo il nuovo regime introdotto dalla
citata l. 251/2005 (basato sul calcolo della pena edittale massima).
Il
sacrificio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (1992) ha dato
l’avvio a un’efficace azione di contrasto e repressione della c. o.
associata a una produzione normativa all’avanguardia, sia sul versante
sanzionatorio sia su quello della prevenzione, che continua tutt’oggi.
Severe pene detentive hanno dimostrato di poter provocare lo
scompaginamento delle cosche criminali dal momento che demoliscono
quell’apparenza di impunità di cui pervicacemente continua ad avvalersi
il potere mafioso.
L’efficacia delle misure volte a privare le
organizzazioni criminali delle risorse economiche reperite tramite le
attività illecite e gli strumenti normativi per la confisca di questi
patrimoni hanno consentito l’acquisizione di ingenti ricchezze. Il
problema attuale, a livello investigativo e normativo, è quello di
colpire le associazioni mafiose anche fuori dal contesto nazionale, a
causa del mancato riconoscimento del reato associativo.
Con la l.
16 marzo 2006 nr. 146 («Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei
Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato
transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 e
il 31 maggio 2001») è stata riconosciuta formalmente da parte del nostro
ordinamento l’esistenza di una criminalità che – attraverso modelli
organizzativi più o meno sofisticati – si è ormai globalizzata per la
sua capacità di estendersi in più di uno Stato, violandone le leggi. La
volontà della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata transnazionale (sottoscritta a Palermo nel dicembre 2000)
era proprio quella di ‘omologare’ tra i Paesi aderenti le fattispecie
associative che nell’ordinamento italiano erano già da tempo previste.
Il
6 settembre 2011 è stato emanato il d. legisl. nr. 159, recante il
«Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché
nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136». Il provvedimento è
stato preceduto da corpose innovazioni volute dal governo nell’ambito
delle politiche per la sicurezza promosse a partire dal 2008. Il codice
opera, tra l’altro, una rivisitazione sistematica della disciplina
normativa dedicata alle misure di prevenzione. I criteri che hanno
improntato l’attività di redazione del codice antimafia sono, tra gli
altri, quelli della razionalizzazione, della semplificazione e del
coordinamento della normativa vigente. Il codice antimafia è stato
oggetto di ulteriori modifiche apportate dal legislatore nel 2012, in
particolare con il decreto correttivo al codice antimafia approvato con
d. legisl. 15 nov. 2012 nr. 218 (limitatamente alla disciplina
dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati e del rilascio
della documentazione antimafia) e con la legge di stabilità 2013 (l. 24
dic. 2012 nr. 228), intervenuta su taluni profili disciplinatori della
confisca. Di recente, sempre nell’ottica di un efficace contrasto alla
c. o., è stato introdotto il reato di autoriciclaggio (l. 15 dic. 2014
nr. 186, art. 648 ter.1 c.p.).
I patrimoni delle mafie e la gestione dei beni sequestrati. – Commissioni per lo studio di nuove norme.
– Dal 2013 sono state istituite presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri delle commissioni per l’elaborazione di proposte per la lotta,
anche patrimoniale, alla criminalità. Con decreto del 7 giugno 2013 il
presidente del Consiglio Enrico Letta ha istituito la prima di queste
commissioni, presieduta dal segretario generale della Presidenza del
Consiglio Roberto Garofoli, magistrato del Consiglio di Stato. Nel
rapporto conclusivo elaborato dalla commissione si è evidenziato come la
c. o. rappresenti un ostacolo importantissimo alla crescita di
qualunque sistema, poiché offre «beni e servizi illegali» e dispone «di
un’organizzazione stabile con proprie risorse (umane, finanziarie, di
capitali), che opera nelle attività illegali con una ben definita
identità collettiva, regole interne, basate sulla violenza ma con
obiettivi non dissimili dalle imprese lecite, legati al profitto» (Per una moderna politica antimafia,
2014, p. 2). La dimensione sovranazionale ne è divenuta una
caratteristica rilevante e preoccupante. Secondo le Nazioni Unite, si
ricorda nel rapporto, «il crimine organizzato è una delle principali
minacce alla sicurezza umana, che impedisce lo sviluppo sociale,
economico, politico e culturale delle società nel mondo» (Per una moderna politica antimafia,
2014, p. 2). A seguire, la relazione ha esaminato criticamente i temi
concernenti l’aggressione ai patrimoni delle mafie e la gestione dei
beni sequestrati, il rapporto tra criminalità ed economia, criminalità e
istituzioni, criminalità e contesto sociale.
Con d.p.c.m. del 30
maggio 2014 è stata istituita una nuova commissione per l’elaborazione
di proposte normative in tema di lotta, anche patrimoniale, alla
criminalità, presieduta da Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di
Reggio Calabria. L’obiettivo della commissione è quello di elaborare un
sistema organico di nuove regole in grado di incidere in modo efficace
nella lotta alla c. o., una riforma complessiva che prevede la modifica
di 95 articoli di legge tra codice penale, codice di procedura penale e
ordinamento penitenziario.
Bibliografia: Sulla criminalità organizzata in generale: S. Aleo, Sistema penale e criminalità organizzata, Milano 1999, 20093; A. Becchi, Criminalità organizzata. Paradigmi e scenari delle organizzazioni mafiose in Italia, Roma 2000. Sulla ’ndrangheta: N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue, Milano 2009; N. Gratteri, A. Nicaso, Dire e non dire. I dieci comandamenti della ’ndrangheta nelle parole degli affiliati, Milano 2012. Sulla camorra: I. Sales, La camorra, le camorre, Roma 1988, 19932; F. Barbagallo, Storia della camorra, Roma-Bari 2010. Su Cosa nostra: S. Lupo, Storia della mafia. Dalle origini ai nostri giorni, Roma 1993, 19962; U. Santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Soveria Mannelli 1995; G.C. Marino, Storia della mafia, Roma 1998, 20105. Sul sistema giudiziario e sulle proposte di riforma: N. Gratteri, La giustizia è una cosa seria, conversazione con A. Nicaso, Milano 2011.
di Nicola Gratteri, Antonio Nicaso
23/01/17
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