L’attenzione alla plausibilità scientifica nei blockbuster che Hollywood continua a sfornare è decisamente aumentata negli ultimi anni.
Prendiamo il caso di Guardiani della Galassia, che esce il 22 ottobre in Italia dopo aver sbancato il botteghino estivo negli Stati Uniti. È uno di quei film di puro intrattenimento che si va a vedere armati di popcorn e di una dose massiccia di sospensione dell’incredulità. Insomma, da una “space opera” in cui si viaggia da una stella all’altra a velocità mirabolante e che ha tra i protagonisti un albero parlante e un procione geneticamente modificato ci si aspettano soltanto un paio d’ore di divertimento, non certo una seriosa lezione di scienze.
Eppure, anche Guardiani della Galassia ha avuto i suoi bravi consulenti. Lo si nota in una scena su cui, per evitare spoiler, non dirò altro, se non che ha fatto nascere in molti spettatori una domanda familiare agli appassionati di fantascienza, ovvero: si può sopravvivere nello spazio senza la protezione di una tuta completa, e per quanto?
L’interrogativo non aveva risparmiato neanche Stanley Kubrick: la scena di 2001: Odissea nello spazio in cui Dave Bowman si “spara” dalla capsula nella stiva della Discovery, senza indossare un elmetto, fu criticata da molti come poco realistica.
Il preconcetto comune è che un organismo esposto al vuoto dello spazio andrebbe incontro a una fine immediata e cruenta: tipicamente, si immaginano teste che esplodono, occhi fuori dalle orbite, pelle che congela e così via.
Be’, in realtà le cose non stanno così. Ne sappiamo abbastanza, lo dice la Nasa, per concludere che si possa sopravvivere a un’accidentale esposizione non protetta allo spazio aperto, a patto che duri poco e che si prendano alcune precauzioni, la più importante delle quali è: svuotare i polmoni prima di uscire e poi trattenere il fiato. Questo accorgimento impedirebbe all’aria di formare bolle che causerebbero seri danni. Per il resto, la pelle del corpo riuscirebbe a contenere lo squilibrio di pressione tra interno ed esterno e non ci sarebbero quindi né esplosioni né ebollizione dei liquidi interni, anche se il corpo inizierebbe gradualmente a gonfiarsi. Tenendo bocca e occhi chiusi si eviterebbe inoltre la vaporizzazione della saliva e delle lacrime. Quanto al freddo: il calore non si dissipa in modo efficiente nel vuoto, quindi il corpo non congelerebbe rapidamente. Certo, resterebbe il problema delle bruciature causate dall’esposizione ai raggi solari, e in ogni caso la perdita di ossigeno nel sangue porterebbe all’incoscienza. Ma insomma: probabilmente un minuto o giù di lì di permanenza nello spazio non causerebbe danni seri. Questo per quanto riguarda gli esseri umani.
Ma la natura ha creato anche macchine biologiche molto più resistenti. I tardigradi, invertebrati grandi meno di un millimetro, hanno dimostrato di poter sopravvivere per molti giorni nello spazio aperto. E certi batteri possono sopportare permanenze ancora più lunghe. Chissà che i veri guardiani della galassia non siano dei minuscoli microorganismi.
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