Feature 3

07/03/17

marzo 07, 2017

Non sappiamo se sia una questione generazionale, ma ormai siamo convinti di essere nati nel momento sbagliato



Non sappiamo se sia una questione generazionale, ma ormai siamo convinti di essere nati nel momento sbagliato.
Quando abbiamo iniziato a lavorare sapevamo che saremmo andati in pensione al massimo a 60 anni (le signore addirittura a 55), oppure con 35 di contributi. Di governo in governo, di crisi in crisi, ci hanno alzato l'asticella dell'età pensionabile prima a 65 anni, poi a 66 e 7 mesi (per ora). Non contenti, hanno introdotto la formuletta matematica dell'età anagrafica sommata a quella contributiva. Infine, abbiamo fatto la sgradita conoscenza della signora Fornero che, tra pianti e rimpianti, ci ha comunicato che difficilmente riusciremo a schiodarci dalla scrivania, o dagli altri posti di lavoro, prima dei 70 anni.
Ma noi siamo una generazione ottimista, figlia del boom economico, quindi siamo ben contenti di poter contribuire con la nostra lunga esperienza alla crescita del Pil. Ben consapevoli che più si lavora più si guadagna. Ma hanno subito cercato di frenare il nostro entusiasmo inventandosi un altro scherzetto: gli scatti di anzianità non possono più avere i ritmi di un tempo poiché anche le stagioni della vita non sono più quelle di una volta, diventi anziano più tardi, non puoi pensare di avere gli scatti che avevano i tuoi predecessori.
Adesso però hanno deciso di mettere in discussione anche il tuo portafoglio di anziano: più invecchi, più devi pagare tasse. L'ultima idea è quella di farne pagare meno ai giovani e più ai vecchi. Peccato che i giovani abbiano da sempre pagato meno tasse per una semplice proporzione di redditi. Ma se l'applicazione dell'aliquota dovesse essere fatta a prescindere, cioè semplicemente in base all'età, rischieremmo di arrivare a pagare un capitale proprio dal momento della pensione. E potremmo anche accettarlo, sempre per via di quell'autolesionista ottimismo, però a quel punto avremmo anche diritto a un rimborso per quanto abbiamo pagato ingiustamente nei tempi lontanissimi della gioventù.
Ma una speranza c'è e ce l'ha data l'Istat qualche mese fa: «grazie» alla riduzione della spesa per la prevenzione sanitaria dovuta al perdurare della crisi, le aspettative di vita sono «finalmente» scese. Gli uomini hanno perso due mesi, passando da 80,3 anni a 80,1, e le donne sono passate da 85 a 84,7: un'inattesa inversione di tendenza che sta mandando all'aria anche i calcoli di aumento progressivo dell'età pensionabile. Non ci resta che morire. Presto.

/mafiaevolutionfilm.net/

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