I due fratellastri accusati dell'omicidio di Emanuele Morganti, dopo un alite fuori da un locale ad Alatri, vengono descritti come membri di una famiglia che voleva prendere il potere sulla piazza
Spaccio di droga, notti brave condite con cocaina e violenza quando e quanto serve per ottenere potere e rispetto.
È questo il ritratto dei due fratelli killer di Alatri.
Il controllo della piazza come obiettivo, seguendo il canovaccio
tracciato da altre famiglia o bande, come i Casamonica o la Magliana. È
questo il romanzo criminale dei fratellastri Mario Castagnacci e Paolo Palmisani.
Sono gli inquirenti a tracciare il profilo dei due ragazzi accusati di aver massacrato di botte e ucciso il 20enne Emanuele Morganti fuori dal circolo Mirò dopo un litigio banale. Mario, cuoco nella Capitale e Paolo impegnato nell'azienda edile di famiglia. In tanti hanno coplito lo studente di Tecchiena, frazione di Alatri, ma sono loro a infliggere i colpi mortali. Al loro fianco il padre Mario Castegnacci, impegnato a fermare gli amici di Emanuele che tentavano di soccorerlo.
La spiegazione che danno gli investigatori dell'accaduto è quella di una famiglia che voleva imporre il suo dominio sulla cittadina. E come farlo se non prendendo un agnello sacrificale. E si potrebbe pensare che la lite al Mirò è la dimostrazione di quanto possono fare a chi non si piega ai Castagnacci. È una ragazza a dichiarare ai carabinieri che Paolo è solito far uso di droga. Non solo: è stato visto in altre occasioni - come riporta La Repubblica - utilizzare una chiave per svitare i bulloni durante i litigi. La stessa con cui i militari sospettano sia stato colpito Emanuele. Si parla anche di una pistola che non è stata estratta.
Argomentazioni che si ritrovano anche nel decreto di fermo del pm Fava, che scrive: "Allo stato non è possibile individuare con certezza il movente dell'aggressione , ma è assai verosimile ricondurre lo stesso ad una sorta di intento di affermazione del proprio dominio sul territorio". E lo ribadisce Giuseppe De Falco, procuratore capo di Frosinone. Tutto da chiarire: "Gli accertamenti sul punto devono proseguire".
Sono gli inquirenti a tracciare il profilo dei due ragazzi accusati di aver massacrato di botte e ucciso il 20enne Emanuele Morganti fuori dal circolo Mirò dopo un litigio banale. Mario, cuoco nella Capitale e Paolo impegnato nell'azienda edile di famiglia. In tanti hanno coplito lo studente di Tecchiena, frazione di Alatri, ma sono loro a infliggere i colpi mortali. Al loro fianco il padre Mario Castegnacci, impegnato a fermare gli amici di Emanuele che tentavano di soccorerlo.
La spiegazione che danno gli investigatori dell'accaduto è quella di una famiglia che voleva imporre il suo dominio sulla cittadina. E come farlo se non prendendo un agnello sacrificale. E si potrebbe pensare che la lite al Mirò è la dimostrazione di quanto possono fare a chi non si piega ai Castagnacci. È una ragazza a dichiarare ai carabinieri che Paolo è solito far uso di droga. Non solo: è stato visto in altre occasioni - come riporta La Repubblica - utilizzare una chiave per svitare i bulloni durante i litigi. La stessa con cui i militari sospettano sia stato colpito Emanuele. Si parla anche di una pistola che non è stata estratta.
Argomentazioni che si ritrovano anche nel decreto di fermo del pm Fava, che scrive: "Allo stato non è possibile individuare con certezza il movente dell'aggressione , ma è assai verosimile ricondurre lo stesso ad una sorta di intento di affermazione del proprio dominio sul territorio". E lo ribadisce Giuseppe De Falco, procuratore capo di Frosinone. Tutto da chiarire: "Gli accertamenti sul punto devono proseguire".
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