Feature 3

24/02/17

febbraio 24, 2017
sub

In attesa di capire le cause dell’incidente al largo delle Isole Formiche, ecco quali sono le condizioni più rischiose per la salute dei subacquei


Sono in attesa dell’autopsia i corpi senza vita dei tre subacquei Fabio Giaimo, Enrico Cioli e Gianluca Trevani, rispettivamente 57, 37 e 35 anni, vittime di un incidente avvenuto domenica durante un’immersione poco al largo delle Isole Formiche, in provincia di Grosseto. Un quarto sub, il 35enne Marco Barbacci, istruttore, è invece stato dimesso dopo alcune ore di osservazione e potrà quindi dare un contributo fondamentale alla ricostruzione dei fatti, la cui dinamica rimane ancora in molti punti un mistero. Sotto sequestro al momento anche l’attrezzatura impiegata dai divers, anche se il malfunzionamento dei sistemi di respirazione risulta al momento l’ipotesi meno probabile.
Come si legge nei primi verbali, tutto potrebbe essere partito non da una manovra azzardata, bensì da un malore di Giaimo, a sua volta istruttore, che potrebbe aver scatenato negli altri una sensazione di panico e il riflesso irrazionale di una risalita troppo rapida: una delle mosse più pericolose per chi fa attività subacquea in quanto principale responsabile della cosiddetta malattia da decompressione e, nei casi più gravi, di morte per embolia gassosa. Quella che è l’ipotesi al momento più probabile per gli sfortunati protagonisti di questa storia, anche se per completare il quadro dell’accaduto sarà necessario inserire anche le variabili sulla rotta e (soprattutto) la profondità a cui i tre sub erano immersi, sul tipo di miscela d’aria utilizzata e se questi avessero già praticato quel giorno altre immersioni e di che tipo.
Ma cos’è la malattia da decompressione? E quali le condizioni più rischiose per la salute a cui si espone chi fa sub e che rendono obbligatorio – ricordiamo – il conseguimento di uno specifico esame e il possesso di un brevetto certificato anche per chi lo pratica a livello esclusivamente ricreativo? Ecco una rassegna delle più gravi.
La malattia da decompressione
La malattia da decompressione (Mdd) è una grave condizione patologica che si manifesta quando, in relazione alla profondità, si superano dei tempi prestabiliti di immersione, quando la velocità di risalita è eccessiva (quella consigliata è di 9/10 metri al minuto) o quando sono necessarie ma non si eseguono le cosiddette soste di sicurezza prima della fuoriuscita in superficie. In queste condizioni può succedere che la quantità di azoto che il subacqueo assorbe attraverso la miscela di gas della bombola (che non contiene esclusivamente ossigeno, bensì aria respirabile, e quindi al 79% di azoto e 21% di ossigeno) non possano essere smaltiti a un buon ritmo (come avviene invece in superficie) a causa della pressione dell’acqua. Alle pressioni elevate a cui si trova il sub sott’acqua, l’azoto in eccesso viene depositato in forma liquida nel sangue e nei vari tessuti, ma man mano che si effettua una risalita, in particolare se troppo rapida, esso può liberarsi in forma gassosa e provocare pericolose bolle, proprio come succede quando apriamo (e quindi togliamo pressione) una lattina di una bibita gassata, solo all’interno del nostro corpo.

I sintomi e le conseguenze della malattia sono molto variabili, in quanto le bolle possono formare in diversi distretti corporei, e indipendentemente dalla loro gravità, vengono considerati tutti pericolosi. Comprendono debolezza, formicolio, disorientamento, intorpidimento, dolore alle articolazioni e alle giunture, fino alle più gravi difficoltà respiratorie, paralisi, perdita di conoscenza e morte.
Per prevenirla, chi si immerge è tenuto a rispettare di volta in volta, oltre che la velocità di risalita, una pianificazione serrata di tempi e profondità. A questo scopo sono state istituite tabelle, i cosiddetti pianificatori di immersioni, fatte apposta per mantenersi entro le condizioni di sicurezza e che tengono conto in modo accurato di tutte le variabili possibili. Durante ogni immersione ciascun sub dovrebbe inoltre avere al polso un apposito computer il quale, oltre alla funzione orologio e profondimetro, è tarato sui livelli medi di smaltimento dell’azoto ed è perciò in grado di segnalare in anticipo se si sta uscendo (pericolosamente) dalla curva di sicurezza.
Ci sono poi altri fattori che possono condizionare il modo in cui l’organismo assorbe ed elimina l’azoto in eccesso e che vanno di volta valutati: l’età, il sovrappeso, la disidratazione, l’affaticamento,  il consumo di alcol e le grosse variazioni di pressione prima e dopo l’immersione, come per esempio i viaggi in aereo o le immersioni in alta montagna, sempre fortemente sconsigliati.
Quando la Mdd si manifesta, sempre che non sia troppo tardi (come forse è avvenuto in questo caso), il paziente viene trasportato d’urgenza presso l’ospedale più vicino e posto in camera iperbarica.
La sovradistensione polmonare “Non smettere mai di respirare, non trattenere mai il respiro”: queste le regole che qualsiasi subacqueo si sentirà ripetere alla sua prima esperienza con bombole ed erogatore. Il motivo è semplice: tappare le vie aeree durante anche solo una minima risalita (e dunque variazione di pressione) può causare il più grave incidente dei subacquei: la cosiddetta sovradistensione polmonare, una vera e propria rottura dei polmoni causata dall’espansione dell’aria nel tessuto respiratorio. Pensiamo a quello che succede a un palloncino che, riempito d’aria in profondità, si sposti verso la superficie: un aumento di volume fino all’inevitabile lacerazione.
Nonostante le lesioni da sovradistensione polmonare siano la conseguenza più spaventosa e più difficile da curare della subacquea, sono allo stesso tempo le più facili da evitare: basta respirare sempre e non trattenere mai il respiro mentre si ha in bocca l’erogatore, e far fuoriuscire anche solo un minuscolo flusso di bolle dalle labbra nel caso se ne fosse momentaneamente privi, in particolare durante una risalita.
La narcosi da azoto
Se respirato in superficie, l’azoto presente nell’aria non ha alcun effetto sulle nostre capacità e i nostri livelli di attenzione, ma una volta in profondità (e via via col suo aumento) può diventare a sua volta molto tossico e mettere a serio repentaglio la sicurezza dell’immersione. In particolare, l’intossicazione da azoto non è pericolosa di per sé per la salute, ma ubriaca il sub e lo rende meno capace di giudizio, più spericolato e distratto, come in preda all’alcol o a qualche droga. La maniera in cui questa narcosi da azoto è tollerata è estremamente variabile da sub a sub, e per questo per evitare incidenti (come per esempio, persone che perdono il controllo della profondità o addirittura, in preda a una sorta di euforia, si tolgono di bocca l’erogatore) è bene essere consapevoli dei propri limiti di profondità e comportarsi in modo più cauto quando si affrontano immersioni profonde, al di sotto dei 30 metri.

In ogni caso, per non caderne vittime, è sufficiente portarsi a una quota anche solo lievemente meno profonda (a volte bastano davvero solo uno o due metri) per liberarsi istantaneamente dal pericolo narcosi, tornare del tutto padroni di sé e completare in sicurezza il tuffo: l’importante è essere consapevoli dei suoi sintomi, sia su di sé che sul compagno di immersione, riconoscerla e batterla sul tempo.

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