Il 15 Gennaio 1993 Totò Riina, detto anche Zù Totò (zio Totò) o Totò u Curtu (Totò il Corto, per via della sua bassa statura), veniva arrestato al primo incrocio davanti la sua villa a Palermo. Effettuarono l’arresto il Crimor, squadra speciale capitanata da Sergio De Caprio, meglio noto come Capitano Ultimo (impersonato da Raoul Bova nelle varie fictions “Ultimo” di Canale 5), grazie soprattutto alle dichiarazioni del pentito Baldassarre di Maggio, soldato di Totò Riina fermato durate un posto di blocco verso la fine del 1992.
Finisce così la latitanza che durava da
quasi un trentennio di Salvatore Riina, colui che insanguinò la storia
di Italia con continue stragi che sembravano all’epoca non voler finire
mai. E iniziò così anche, paradossalmente, il suo mito, un mito che ha
generato in alcuni addirittura ammirazione per colui che, direttamente o
indirettamente, comandò non solo la Sicilia, ma probabilmente l’intera
Italia. E questa anomala ammirazione crebbe con l’aumetare di
documentari, film e soprattutto serie televisive. E la più importante di
queste ultime è sicuramente “Il Capo dei Capi“, serie televisiva di 6
puntate andata in onda su Canale 5 fra ottobre e novembre del 2007.
La prima puntata, andata in onda il 25
Ottobre, riuscì a totalizzare la bellezza del 27, 21 % di share, un
record per la prima puntata di una serie televisiva (anche se fu la
seconda puntata la più seguita con addirittura i 30, 40 % di share).
Girato interamente nella provincia di Ragusa e Catania, “Il Capo dei
Capo” è stato diretto dai registi Enzo Monteleone (regista, fra gli
altri, anche dell’ottimo “El Alamein“) e Alexis Sweet, che hanno
rispettato in maniera quasi maniacale l’omonimo libro d’inchiesta dei
giornalisti Giuseppe D’Avanzo e Attilio Bolzoni, in cui viene raccontata
appunto la storia del boss mafioso, non disdegnando però
l’intromissione di personaggi di fantasia quali il poliziotto Biagio
Schirò (l’antagonista principale di Totò Riina nella serie). E qua forse
si crea il dibattito. Questo perchè “Il Capo dei Capi” rispetta
pienamente la storia di Riina, non tralascia niente, quasi nessun
particolare, ma ha innate in sè piccole (e per chi pretendeva una
vericidità storica assoluta) fastidiose contraddizioni.
I nomi sono tutti reali, così come gli
avvenimenti, tranne quelli che riguardano Biagio Schirò (interpretato da
Daniele Liotti), il personaggio di fantasia che va a rappresentare
ideologicamente tutti i soldati semplici che hanno dato caccia al boss.
Nella serie tv viene dato risalto soprattutto alla disumanità con cui
Riina decideva l’uccisione di ogni persona che gli metteva i bastoni fra
le ruote (dal boss corleonese Navarra ai giudici Falcone e Borsellino),
ma stranamente questo Biagio Schirò veniva lasciato sempre in pace,
nonostante sembra essere il maggior esperto di mafia in giro per la
Sicilia, l’unico che abbia visto e conosciuto Riina sin da tenerà età.
Nessuno di coloro che la mafia voleva morti è riuscito sottrarsi al suo
triste destino, nonostante l’utilizzo di scorte e auto blindate, mentre
Schirò (quando Riina si decide a farlo fuori) riesce a cavarsela solo
con una gamba rotta. Insomma, tutta questa fantasia cozza un po’ col
realismo quasi esasperato dell’intera serie televisiva e fa perder un
po’ di punti al comunque sia ottimo lavoro dei due registi.
Ma ci sono anche altre imprecisioni
storiche, sia attitudinali che effettive: innanzitutto la figura del
boss numero due, Bernardo Provenzano. Provenzano viene dipinto come
quasi il più umano dell’intera cricca di Riina, il suo fido consigliere
che addirittura qualche volta dispensava consigli che avevano anche
troppo di umano (anche se è vero che Provenzano si oppose a Riina per
gli omicidi di Falcone e Borsellino). E’ risaputo che Provenzano era
soprannominato Binnu u Tratturi, ovvero Bernardo il Trattore, per via
della violenza con cui falciava le sue vittime. Era un vero e proprio
macellaio, famoso per essere il più terribile e disumano serial killer
della storia della mafia. Il boss corleonese Luciano Liggio disse di lui
“Spara come un Dio, ma ha il cervello di una gallina” (dichiarazione
smentita successivamente dallo stesso Provenzano). Nella seconda puntata
viene raccontata l’uccisione del boss Cavataio da parte di un commando a
cui facevano parte, oltre a Riina e Provenzano, anche Calogero
Bigarella e due uomini del boss di Cinisi Tano Badalamenti, una
uccisione passata alla storia come la “Strage di Viale Lazio”, in cui
rimasero uccisi altri quattro uomini. Nella fiction viene fatto capire
che la strage venne scaturita dal nervosimo di uno dei due uomini di
Badalamenti, e per questo motivo rimase ucciso in quell’occasione anche
lo storico amico di Riina, Bigarella. Nella realtà le cose andarono ben
diversamente: le dichiarazioni dei pentiti descrissero come autore della
strage lo stesso Provenzano, che uccise tutti gli uomini che vedeva
dinanzi a lui con una ferocia disumana (vero l’episodio
dell’inceppamento della pistola di Cavataio nell’ultimo disperato
tentativo di salvarsi, come anche il fatto che lui si finse morto).
Anche la figura di Boris Giuliano, commissario assassinato dalla mafia
nel ‘79, risulta essere alquanto approssimativa. La stessa vedova del
commissario, Ines Maria Leotta, accusò gli autori della serie di aver
dipinto un Boris Giuliano quanto mai lontano dalla realtà: Giuliano non
fumava, non usava parlare dialetto, non era un uomo di mezza età ma più
giovane, non aveva quell’atteggiamento passivo che lo contraddistingue
nella serie tv e soprattutto (parole della stessa vedova): “Non aveva
bisogno di un inestitente Schirò che lo spronasse a combattere la
mafia“.
La figura di Paolo Borsellino, invece,
più che sbagliata, è quasi volutamente messa in secondo piano, offuscata
forse troppo pesantemente dalla personalità di Giovanni Falcone, un
fatto che non rende merito al suo reale operato. Nell’ultima puntata gli
autori si sono “sbarazzati” di tutti gli avvenimenti che rimanevano (e
quindi anche dell’assassino di Borsellino) con dei modi forse un po’
troppo sbrigativi e frettolosi, perdendo così di quella vericidità
storica tanto cara ai registi. Nella fiction inoltre non viene mai
fatto vedere Mario Francese, il giornalista ucciso dalla mafia nel ‘79,
l’unico che riuscì a intervistare addirittura la moglie di Riina,
Antonietta Bagarella (sorella di Calogero) e che si impegnò
proficuamente per ricostruire l’intera organizzazione mafiosa e la sua
gerarchia (di contro gli autori dissero che è lo stesso Shirò a
sopperire a questa manncanza narrativa). E infine lui, il Capo dei
Capi, Salvatore Riina, ovvero la figura che ha suscitato più polemiche,
semplicemente perchè dipinto come un essere umano invece che come il
mostro che è in realtà. Forse per voler rispettare una famosa
dichiarazione di Falcone (”I mafiosi, anche se a modo loro, sono esseri
umani” riferita al super pentito Tommaso Buscetta), gli autori hanno
dapprima dato al boss un volto troppo da bravo ragazzo, quello
dell’attore Claudio Gioè, che ha comunque sia fornito una prova
stupefacente, cercando in tutti i modi di non dar peso alla sua faccia
da bravo ragazzo, un handicap iniziale però troppo significativo.
Ribadisco: Gioè è stato veramente grande nella parte, una prova che
meriterebbe seri riconoscimenti e una ben più dignitosa valorizzazione
del suo talento, ma il suo volto è troppo da bravo ragazzo per
interpretare un mostro come Riina. Va anche detto che Riina, in realtà,
non ha una faccia da orco, ma un comune viso da pensionato tranquillo e
pacato. Però forse è stata proprio la scelta di ingaggiare Gioè a
scatenare le critiche alla serie televisiva, critiche in alcuni casi
molto violente: secondo il sociologo Antonio Marziale: “La messa in onda
di un film porno in prima serata avrebbe prodotto sicuramente meno
effetti nocivi (de “Il Capo dei Capi“, ndr)”. Secondo l’allora Ministro
della Giustizia Clemente Mastella la serie avrebbe dovuto essere
bloccata. Il Pm della DDA di Palermo Antonio Ingroia ha affermato che
questa serie tv è dannosa, in quanto crea un’iconografia positiva dei
mafiosi. Il politico Pino Pisicchio ha affermato che “Il Capo dei Capi”
conferisce a Riina una figura troppo positiva, ovvero quella di uno
“sfortunato figlio della Sicilia con la faccia simpatica“. Lo scrittore
Camilleri ha scritto sul quotidiano “La Stampa” che “L’unica letteratura
che tratti di mafia deve essere quella dei verbali di polizia e
carabinieri e dei dispositivi di sentenze della magistratura. A parte i
saggi degli studiosi” (e qui ha discolpato i giornalisti D’Avanzo e
Bolzoni). E dulcis in fundo, la stessa moglie di Riina, Antonietta
Bagarella, ha minacciato di querelare gli autori della fiction per la
diffamazione, in quanto ha danneggiato la sua figura. In seguito le sue
minacce sono diventate concrete: la Bagarella ha denunciato Canale 5
dopo la visione dell’ultima puntata.
L’unico che sembra non lamentarsi sembra
essere stato invece lo stesso Totò Riina, che ha seguito
appassionatamente la fiction dal carcere di Opera di Milano in cui è
attualmente detenuto, come se quello che vedeva fosse veramente
fantasia. Una curiosità: il boss palermitano Michele Catalano è stato
arrestato dalla polizia proprio mentre guardava in televisione
quest’ultima puntata. Per quanto riguarda il successore di Riina e
Provenzano (quindi dopo il sanguinoso periodo corleonese) abbiamo il
boss Salvatore Lo Piccolo, “Capo dei Capi” dall’arresto di Provenzano
fino al 2007, quando venne arrestato dopo 25 anni di latitanza.
L’attuale presunto “Capo dei Capi” sarebbe Matteo Messina Denaro,
soprannominato “Diabolik”, uno dei più efferati killer della mafia,
imputato di qualcosa come 50 omicidi, e, secondo il pentito Antonino
Giuffrè (il braccio destro di Provenzano), sarebbe il custode del più
importante archivio della mafia siciliana, affidatogli dagli stessi
Riina e Provenzano. Denaro è latitante dal ‘93, ed ha il discutibile
onore di essere il quinto ricercato tra i più pericolosi del mondo. Vi
basti pensare che il primo di questa classifica (stilata dall’FBI in
persona) è, naturalmente, Bin Laden. Per capire chi è Denaro potete
andare qui.
Rimane comunque un fatto concreto: “Il
Capo dei Capi” ha avuto un successo enorme (anche in America), tanto che
la Tao Due, la casa di produzione della serie, ha realizzato un sequel,
“L’ultimo Padrino“, in cui si narrano gli anni passati dalla cattura di
Riina alla cattura del suo successore Bernardo Provenzano, che ha come
protagonista lo stesso Provenzano, interpretato da Michele Placido. Era
dai tempi de “La Piovra” che non si vedeva un simile riscontro
nell’immaginario collettivo degli italiani, un immaginario distorto, in
quanto l’argomento-mafia è un argomento che affascina molto, forse
(anzi, sicuramente) troppo. Va dato merito agli autori di aver fatto
apprendere nella maniera meno impegnativa quasi mezzo secolo della
storia d’Italia a chi è giovane e non sa, o sa per sentito dire.
Ritraendo Riina come una icona del folklore storico italiano, hanno
fatto vedere in maniera cruda e con armi non sempre lecite la sua
storia, e di conseguenza la storia di un paese che ancora vive gli
strascichi di quegli anni, delle varie stragi, dei morti ammazzati,
della politica marcia e corrotta. Poi l'argomento più scottante: le
relazioni fra mafia e politica. In tutta la serie aleggia uno spettro di
cui non si fa mai il nome, quasi che gli autori avessero avuto paura,
anche se le citazioni sono più che chiare: spesso si sente nominare il
nome "Presidente" (anche dallo stesso Totò Riina), come a voler
intendere che esista un politico molto in alto di cui però non si sa il
nome. I registi hanno un po' peccato di omertà, un'omertà forse anomala,
perchè il nome di quel "Presidente" è palese: l'allora presidente del
Consiglio Giulio Andreotti. Non viene neanche citata la deposizione
(peraltro giudicata sempre poco affidabile) del pentito Di Maggio (vedi
inizio articolo) secondo cui Riina e Andreotti si incontrarono per
definire la strategia delle elezioni politiche di quell'anno, un
occassione in cui si verificò anche il famossisimo saluto con bacio di
Andreotti a Riina (episodio successo, a detta di Di Maggio a Palermo nel
settembre dell' '87). Forse se Monteleone e Sweet avessero visto "Il
Divo", il film di Paolo Sorrentino su Andreotti, avrebbero avuto modo di
introdurre anche la figura di Andreotti nella serie tv. Peraltro
Sorrentino ha affermato di aver girato "Il Divo" solo ed esclusivamente
per filmare questo famoso bacio fra Andreotti e Riina. La fiction,
utilizzando quel nome, "Presidente", ha fatto capire da dove proviene
tutto quel marciume che noi italiani adesso stiamo sopportando a stento.
E il discorso è sempre lo stesso: non dovrebbe essere un film a farci
aprire gli occhi. Ma noi italiani siamo fatti così: ci piace piangerci
addosso, ci piace negare anche davanti all'evidenza dei fatti. Prima
c'era Andreotti, adesso c'è Silvio Berlusconi, ma Berlusconi ormai è
vecchio, e il ricambio generazionale è alle porte.
E quindi domani? Chi sarà domani a
comandare l'Italia? Il bello è che già lo conosciamo, già lo abbiamo
visto, sappiamo di lui nome e cognome, e saremo noi stessi a dargli il
potere per far risprofondare l'Italia nella merda più nera. Bisogna
aspettare solo le elezioni del dopo Berlusconi. E non possiamo fare
altro che applaudire la nostra ignoranza, la nostra stupidità per aver
permesso a uomini corrotti, ad assassini, di salire sul trono d'Italia, e
di fare i loro porci comodi. Tanto per dare riscontro a ciò che dico:
nell'ultima intervista di Borsellino ad una tv francese, nel 1992, lo
stesso giudice parla di tutti i capi mafiosi, parla di Andreotti, e cita
(anche se in maniera indiretta) lo stesso premier Berlusconi. Il video
lo potete vedere qui, fatevela voi una idea. Ma adesso sto divagando.
Il mio compito era quello di recensire una serie tv, non di accusare. Ma
noi italiani siamo fatti così. Ci piace tanto accusare, ma poco agire.
Ce lo consenta, "Presidente", almeno questo ce lo consenta.../mafiaevolutionfilm.net/
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