Festività in ospedale per il padrino corleonese. Che si lamenta perché nel pranzo non c'è il dolce di Natale: «Nemmeno una fetta di panettone mi fanno mangiare. È una vergogna!»
Adesso che è al 41 bis, il carcere duro, per il pranzo di Natale per lui non c'è stato alcun favoritismo, rispetto agli altri detenuti o agli altri pazienti ricoverati, come è giusto che sia, e quindi niente panettone. E così il capo dei capi non nasconde la delusione per non aver ricevuto il “dolcetto natalizio”, e lo dice apertamente e in maniera adirata. Poco prima di capodanno, migliorate le sue condizioni di salute, è tornato nella sua cella del carcere di Parma. Il racconto di un Natale con il boss in ospedale è pubblicato da l'Espresso nel numero in edicola da venerdì 8 gannaio.
Riina da un anno ha fatto leva sulle sue condizioni di salute per tentare di ottenere la scarcerazione, chiedendo il “differimento della pena”: la misura che viene concessa quando le malattie di un detenuto ne rendono impossibile la detenzione. L’uomo, mai sostituito al vertice di Cosa nostra, ha messo nero su bianco la richiesta di passare agli arresti in casa. Il tribunale di sorveglianza di Bologna alla fine dell’estate di due anni fa ha rigettato le istanze, ritenendo «insussistente» alcun «vulnus alla tutela del diritto alla salute del condannato». Inoltre, «quanto alla pericolosità sociale», i giudici hanno scritto che «la caratura criminale» di Riina non consente «una prognosi di assenza di pericolo di recidiva ove si consideri la tipologia di reati commessi, non necessariamente implicante prestanza fisica».
La lunga latitanza di Riina si è conclusa a Palermo il 15 gennaio 1993, sulla circonvallazione della città. Quando il volto del capo dei capi apparve in televisione, sorprese tutti: nessuno immaginava che un personaggio così goffo, piccolo, dagli occhi sgranati, potesse essere il mafioso feroce che le cronache giudiziarie avevano dipinto. Il capo dei capi è arrivato nel carcere di Parma ad aprile del 2014, dando il cambio all’altro boss corleonese, Bernardo Provenzano, che ha fatto il percorso inverso, passando dal penitenziario emiliano a quello milanese di Opera.
In cella l’anziano “Binu” c’è rimasto poco, perché sta male. Anche lui ha trascorso il Natale in ospedale. Per mantenere in vita Provenzano è necessario che prosegua il suo ricovero in isolamento nella camera di sicurezza allestita al San Paolo di Milano. Se il boss venisse collocato in un reparto ospedaliero comune, la sua sopravvivenza – come sostengono i giudici della Cassazione – sarebbe a “rischio”, per la “promiscuità” dell’ambiente. La sua situazione, comunque, è molto lontana da quella di Riina, ritenuto ancora in grado di nuocere./mafiaevolutionfilm.net/
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