Rosa Lasaponara, docente di ingegneria all’Università della Basilicata e ricercatrice del Cnr, racconta come ha scoperto i pozzi che punteggiano il deserto più arido al mondo nel sud del Perù. Chiamati “puquios”, pescavano l’acqua che scorreva nel sottosuolo e la distribuivano nei terreni circostanti. www.ilnavigatorecurioso.it
[Repubblica]Le immagini riprese dall’alto permetteranno alle autorità peruviane di catalogare e studiare in dettaglio i disegni millenari riconosciuti come Patrimonio mondiale dell’umanità.
L’obiettivo è quello di scoprire i dettagli nascosti di questi incredibili ‘geoglifi’ tracciati sul terreno desertico, lunghi anche centinaia di metri, per proteggerli dall’incuria umana e l’erosione naturale.
Disegnate probabilmente circa 2000 anni fa dalla civiltà che popolava la zona dell’attuale deserto di Nazca, le linee tracciate sul terreno rappresentano stilizzati alcuni animali, come scimmie, colibrì, ragni e balene.
I disegni sarebbero stati fatti semplicemente rimuovendo il pietrisco, che copre l’intero altopiano, mettendo in luce il terreno sottostante più chiaro e probabilmente erano ulteriormente ‘evidenziate’ dall’uso di colori.
A mantenerli intatti è stato il clima secco e privo di vento della regione mentre i motivi che spinsero alla realizzazione dei disegni restano ancora fonte di dibattito, dalla funzione di cataloghi stellari fino all’idea che fossero dei punti di segnalazione per richiamare l’attenzione della leggendaria figura dell’eroe Viracocha.
Per preservare questo patrimonio dell’umanità, sia dai danni provocati dall’uomo che da quelli dovuti dalle piogge, è scesa in campo anche la Nasa.
Grazie a due sorvoli con un aereo attrezzato con Radar ad Apertura Sintetica (SAR) è stato possibile identificare danni e disturbi nel terreno e consegnare i dati alle autorità peruviane che stanno realizzando un catalogo completo dei glifi.
In una delle foto presentate dalla Nasa è visibile il cosiddetto Colibrì e dal confronto tra l’immagine satellitare ottica e quella dal Sar sono visibili, in scuro, alcuni danni provocati dall’erosione.
Ma queste immagini hanno permesso ad una ricercatrice italiana, del Cnr, l’ingegnere elettronico Rosa Lasaponara, docente presso l’Università della Basilicata a Potenza, di riuscire a individuare delle nuove costruzioni, finora inedite, risalenti alla civiltà Nazca (400 A.C.- 400 D.C).
Esse spiegano, in parte, anche il significato delle 13 mila linee, ancora avvolte dal mistero e cariche di tante leggende, che tratteggiano l’ampio deserto nel sud del Perù. Un’eccellenza italiana che spicca nel Pantheon delle scoperte scientifiche internazionali.
Svelata alla Bbc e ripresa dalle riviste specializzate, la scoperta riguarda dei sofisticati e ingegnosi acquedotti che ricordano dei pozzi: i puquios. Buche, a forma di spirale, su cui si sviluppano dei condotti discendenti, fatti in pietra, da cui estrarre acqua dalle falde o dei fiumi che scorrono a decine di metri di profondità. In un deserto: il più arido del mondo. L’acqua, in quel tempo, era ritenuto un elemento essenziale per la sopravvivenza e anche uno strumento di potere.
“È stato attraverso l’uso dei satelliti”, racconta la professoressa Lasaponara, “se siamo riusciti a individuare e fotografare da distanza ravvicinata quei buchi che scendevano sottoterra tramite una spirale di canali. Fino al 2000 le osservazioni si facevano con dei sorvoli a bordo di piccoli aerei. Con la liberalizzazione dei sistemi di rilevazione satellitare, fino a quel momento riservati ad uso esclusivamente militare, abbiamo potuto scattare immagini molto più ravvicinate. Questo ha consentito di individuare strutture rimaste fino a quel momento nascoste, confuse con l’ambiente circostante”.
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