Palermo - Nel cimitero di Corleone c’è una tomba piena di misteri. Avrebbe dovuto contenere i resti di un personaggio simbolo della lotta alla mafia, Bernardino Verro, ucciso un secolo fa, e invece conserva due scheletri al momento sconosciuti. E uno potrebbe addirittura appartenere a un boss, parente di Totò Riina, ucciso in una strage di mafia, Calogero Bagarella.
Il giallo ruota attorno alla sepoltura di Bernardino Verro, uno dei capi dei Fasci siciliani e primo sindaco socialista di Corleone. Dopo la repressione del movimento Verro fu denunciato, più volte incarcerato e costretto all’esilio. Tornato nel 1914, fu eletto sindaco e un anno dopo, il 3 novembre 1915, fu ucciso mentre rientrava a casa.
Alla tomba di Verro la polizia è arrivata seguendo le tracce di un incerto riferimento del pentito Antonino Calderone e di quanto avevano scritto Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo nel libro «Il capo dei capi» pubblicato dopo la cattura di Riina. Ma la svolta è arrivata quando il comune di Corleone ha donato alla Cgil due sepolture: una per i resti del sindacalista Placido Rizzotto, ritrovati dopo 63 anni in una foiba di Roccabusambra, e l’altra per quelli di Bernardino Verro contenuti in un modesto loculo del cimitero.
Qualche mese fa un anonimo ha però scritto al sindaco Leoluchina Savona per segnalare che in realtà i resti di Verro si trovano sin dal marzo 1959 nella tomba di famiglia al cimitero dei Rotoli di Palermo. Era stata la figlia a organizzare la traslazione. A chi appartengono allora quei due teschi?
L’ipotesi privilegiata è che uno dei due «abusivi» sia Calogero Bagarella, fratello di Leoluca e cognato di Riina, di cui si sono perse le tracce da oltre 43 anni. Faceva parte del commando di sicari travestiti da poliziotti che il 10 dicembre 1969 fece irruzione negli uffici dell’impresa Moncada, in viale Lazio a Palermo, per eliminare il boss Michele Cavataio.
Nella sparatoria morirono cinque persone. Prima di essere finito con un colpo alla testa, Cavataio riuscì a impugnare la sua pistola e a colpire uno degli aggressori, Bagarella appunto, portato poi via dai compagni tra i quali Bernardo Provenzano. Mistero fitto sull’identità del secondo «abusivo».
A dare al giallo un tocco più fosco è poi la circostanza che nel 1976 è stato ucciso l’impresario di pompe funebri Francesco Coniglio. Si è sempre pensato che fosse stato eliminato perché depositario di segreti ingombranti sul cimitero di Corleone.
La sua morte per ora resta sullo sfondo. Più interessante appare agli investigatori accertare se davvero uno dei corpi senza nome appartenga a Bagarella. Il procuratore di Termini Imerese, Alfredo Morvillo, che ha disposto un esame medico-legale, spiega: «Bisogna prima di tutto stabilire se la data di quelle ossa sia compatibile con l’epoca della strage di viale Lazio del 1969».
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